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Progetto coordinato da CSV Emilia ODV

Oltre la nostra provincia: una fotografia italiana dell’Amministrazione di Sostegno

Si intitola Monitoraggio e ricognizione nazionale delle esperienze di amministratore di sostegno, la ricerca più attuale e completa sull’Amministrazione di Sostegno in Italia, alla cui stesura e presentazione ha partecipato anche il coordinamento di NON+SOLI di Reggio Emilia. Non è una lettura da ombrellone, ma un uno studio approfondito, che ha visto la collaborazione di oltre 700 esperti a livello nazionale.

Dalla ricerca emerge l’immagine disomogenea di un’Italia in cui l’Amministrazione di Sostegno, inserita nel codice civile da quasi 20 anni, è stata applicata solo in 7 regioni, con differenze rilevanti, imputabili alle diverse inerzie amministrative e ai diversi protocolli di collaborazione tra volontariato, servizi sociosanitari e tribunali.

«Ci siamo chiesti», spiega Tiziano Vecchiato, presidente della Fondazione Zancan in un’intervista a Vita, «se l’istituto dell’amministratore di sostegno sia riuscito a far superare gli approcci da eutanasia sociale che spesso, purtroppo, si osservano quando una persona continua a vivere ma non è più capace di gestire pienamente se stessa. In passato, la giurisprudenza consentiva di dichiarare una persona “non più tale”. Oggi questo teorema non è più accettabile, e cosa è successo? Dallo studio emerge come negli ultimi dieci anni, con l’aumento delle Amministrazioni di Sostegno, la capacità di affiancamento sia progressivamente cresciuta. Dunque, non più persone interdette, ma affiancate».

La prima parte dello studio monitora proprio l’attuazione a livello regionale (Abruzzo, Emilia-Romagna, Liguria, Marche, Sardegna, Umbria e Veneto) della Legge 6/2004 ed evidenzia alcune tendenze comuni, come la decrescita delle interdizioni al crescere delle Amministrazioni di Sostegno e l’importanza del ruolo del volontariato come agente di welfare generativo, perché le persone con ridotte autonomie sono una sfida ad esplorare le frontiere dell’aiutare e dell’aiutarsi. La pressione del volontariato è stata determinante nell’incoraggiare le pratiche, riducendo le burocratizzazioni e gli utilizzi distorti della norma, commisurati alla natura e alle dimensioni dei patrimoni da amministrare.

«Il nome Amministratore di Sostegno», prosegue Vecchiato su Vita, «ha al suo interno tutta l’importanza del ruolo che deve svolgere. Ossia: amministrare e sostenere. I risultati della ricerca, però, ci dicono che in questi anni non è stato sempre facile bilanciare le due funzioni nella stessa persona. Infatti, c’è chi ha aiutato più ad amministrare e chi a sostenere. Con una prevalenza dei primi sui secondi, come se la persona equivalesse solo al suo patrimonio. Tutto questo non è nello spirito della norma ed è dovuto a un numero alto di professionisti che svolgono questa funzione. La situazione è migliore nelle regioni in cui […] il volontariato ha avuto un ruolo importante nel passare dai principi alle azioni. Infatti, un volontariato “militante” sul territorio ha la capacità di agire in favore di queste persone: segnalando situazione a rischio, trovando risposte ai loro bisogni e formando chi lo desidera ad amministrare e accompagnare. In questi anni molte realtà di volontariato hanno attivato percorsi di formazione e sportelli informativi. È così che sono emerse le disponibilità tra i cittadini a diventare amministratori di sostegno».

La seconda parte della ricerca della Fondazione Zancan verifica l’attuazione della legge 6/104 in Italia: fa il punto sull’effettività della norma e sulle criticità riscontrate nella sua applicazione, i diversi sistemi che si sono creati, le reti ed i modelli adottati, le principali questioni interpretative emerse nei tribunali, e raccoglie le raccomandazioni di alcuni “testimoni privilegiati” per migliorare l’attuazione dell’istituto e superare le criticità riscontrate.

L’ultima parte, infine, è dedicata al “valore aggiunto” dell’amministratore di sostegno. Tra le missioni qualificanti della nostra costituzione c’è l’idea che nessuno resti escluso e che ogni persona possa contare sulla solidarietà umana e sociale. Per questo servono investimenti necessari per sviluppare nuovi modi di prendersi cura dei bisogni umani fondamentali.

«Da alcuni anni – conclude il presidente della Fondazione Zancan – per misurare come il nostro welfare garantisce i diritti, utilizziamo i Livelli essenziali di assistenza (Lea) e i Livelli essenziali delle prestazioni sociali (Leps). Ecco che, se il numero degli amministratori di sostegno fosse equamente distribuito sul territorio, questo istituto potrebbe diventare un Leps di cittadinanza sociale. Ossia se su un bacino territoriale ci fosse una capacità di risposta tale da soddisfare tutte le richieste, sarebbe possibile affiancare chi ne ha bisogno con persone capaci di svolgere attività di prossimità solidale. Si garantirebbe un diritto esigibile. Perché tutto questo avvenga, però, è indispensabile fissare un numero di amministratori di sostegno sotto i quali non si può andare. Formare i cittadini volontari perché siano consapevoli del ruolo che svolgono. E creare le condizioni perché diventi un livello di assistenza garantito. In questo modo si risolverebbe in maniera sostenibile un annoso problema di welfare legato alla tutela dei soggetti fragili».

La ricerca completa è scaricabile gratuitamente sul sito della Fondazione Zancan